L’intesa istituzionale fra Sardegna e Corsica, isole ‘sorelle’ unite dalla storia e della geografia ma separate dalla politica, è stata salutata con grande enfasi praticamente da tutti. Fra i più entusiasti, ovviamente, gli esponenti del mondo sovranista sardo che hanno visto in questo accordo il riconoscimento istituzionale di alcune loro tesi, incassando perfino l’endorsement del presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau, che ha dichiarato di “capire” le ragioni dell’indipendentismo pur non arrivando a trasformare questa comprensione in una adesione politica.
Spente le luci della ribalta, resta però da capire come la collaborazione fra le due Regioni potrà trasferirsi sul piano dell’azione di governo su alcuni dei temi di interesse comune che sono stati individuati: energia, trasporti, ambiente, turismo, cultura e identità. I temi più spinosi come energia e ambiente, infatti, toccano da vicino il ruolo dei rispettivi Stati e, al di là della cooperazione regionale che comunque non è una novità per le aree trans-frontaliere dell’Unione europea (risale agli anni ’90), occorrerà un grande lavoro politico fra Cagliari e Roma da una parte ed Ajaccio e Parigi dall’altra per portare a casa risultati veri per le due comunità. Italia e Francia (gli esempi sono innumerevoli) non erano e non sono d’accordo su tutto, per usare un termine consueto in diplomazia, e ci vorrà anche una forte capacità progettuale delle due Regioni per ottenere il necessario consenso sulle proposte che saranno formulate. I compiti a casa sono abbastanza pesanti, in altre parole, però ne può valere la pena.
Il lato debole dell’operazione, ed anche quello più sovranista se vogliamo, riguarda il contributo concreto che Sardegna e Corsica possono dare alla costruzione dell’Europa dei popoli, una sorta di creatura mitologica che dovrebbe sconfiggere l’attuale Unione europea delle burocrazie, dei mercati e delle banche. Qui, con tutto il rispetto, occorre dire che il fine è nobile ma il mezzo è inadeguato. Il discorso ci porterebbe troppo lontano, ma, a spanne, sembra abbastanza difficile per non dire velleitario sostenere che dove arrancano 28 Stati (ed arrancano abbastanza un po’ su tutto) riuscirebbero a fare meglio i 350 membri dell’organismo di rappresentanza regionale della Ue.
SardoSono
(admaioramedia.it)
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webnauta59
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