“L’Italia tra le Arti e le Scienze” è il titolo dell’affresco che il pittore sassarese Mario Sironi dipinse nel 1935, su incarico di Benito Mussolini, nell’Aula magna della Città universitaria a Roma. “Nell’affresco, ispirato a una visione epica della storia – descrive lo storico Emilio Gentile – Italia fascista si ergeva austera fra le Scienze e le Arti, che l’attorniavano simili a un coro inneggiante alla sua grandezza. Alle spalle dell’Italia, posava superba un’aquila imperiale e la sagoma imperiosa di un fascio littorio si stagliava dalla roccia di una montagna, affiancata da un arco trionfale recante il profilo del duce equestre: nel cielo volava trionfante una Vittoria armata. Quindici anni dopo, l’Italia repubblicana affidò a un altro pittore il compito di cancellare dall’affresco di Sironi i simboli fascisti. Senza il consenso dell’autore, l’intera opera fu sottoposta dal pittore epuratore a una ridipintura accademicamente leziosa, che alterò gravemente lo stile rude e monumentale dell’originale”. Ora, l’Università di Roma ha deciso di restaurare il dipinto e si apre il dibattito: sarà ripristinato nella versione originale o verrà conservata quella ‘defascistizzata’? Pubblichiamo un articolo del quotidiano “Avvenire”. (fm)
Il lapsus. Ha una storia codificata nella psicanalisi freudiana, nella critica del marxismo freudiano, nella psicolinguistica… Come che sia allude, naturalmente svela, intriga. E’ un dettaglio minimo, all’apparenza irrilevante, ma capace all’improvviso di accendere discussioni tenute sopite dalla necessità politically correct di non dire; nel nostro caso, di non dare adito a verifiche sulla storia della libertà intellettuale di questo dopoguerra. La democrazia non ha automaticamente prodotto libertà culturale e artistica? I censori non hanno riposto forbici e scalpelli? Ministeri e case editrici non hanno sempre rispettato la libertà espressiva del letterato o dell’artista? No, non sempre; e in tempi di democrazia anche un solo caso di violenza censoria (ma ce ne sono…) è infinitamente più grave dei tanti occorsi prevedibilmente, direi logicamente, in tempi di non libertà.
Sironi, non ce lo nascondiamo, è un imbarazzante caso d’inciampo della storia, contrastata e ancora da scrivere, delle attività censorie in questo dopoguerra. Il suo murale del 1935 L’Italia fra le Arti e le Scienze, che (d’accordo con Marcello Piacentini direttore dei lavori, d’ordine del Duce, della nuova Città universitaria di Roma e relativi arredi interni) copre l’intero catino absidale dell’Aula Magna, oggi non è più quello pensato ed eseguito da Sironi. Dopo la guerra venne brutalizzato da un intervento ipocrita, gestito dallo stesso Marcello Piacentini subito diventato membro della commissione d’epurazione di quegli stessi simboli littori che aveva provveduto a diffondere nella Città universitaria. Braccio esecutivo di questa operazione di ‘bonifica’, il pittore Carlo Siviero che, cancellati i simboli del regime presenti nel murale, proseguì ad ‘abbellire’ e ‘migliorare’, ricolorare e ritoccare a suo gusto le ieratiche figure dell’opera. Il risultato, oltre a negare (anche giuridicamente) l’autografia dell’opera sironiana è deturpante.
Una delle più note studiose di Sironi, Elena Pontiggia, oltre ad aver allestito l’importante, recente mostra al Vittoriano di Roma, ha appena pubblicato una biografia completa dell’artista (Mario Sironi, la grandezza dell’arte, le tragedie della storia, Johan & Levi); completa, cautamente, del convinto fascismo di Sironi (perché marcare misteriose distanze tra l’opera espressiva di Sironi e il fascismo?), dei casi maggiori di abrasioni censorie inferte in questo dopoguerra alle sue opere, e dell’ingiusta e violenta marginalizzazione subìta dalla nuova critica d’arte. Il lapsus, dicevamo. All’indice dei nomi del volume, ne compare uno, uno solo senza l’indicazione della pagina, perché assente nel testo: Siviero. Nel libro non si parla di lui, del suo intervento censorio eppure, emblematicamente, è citato nell’indice dei nomi. Per giunta, l’assente Siviero viene indicizzato non già come Carlo, ma come Rodolfo: grande benemerito nel recupero dei capolavori artistici italiani sottratti dai tedeschi durante gli ultimi anni di guerra. Un lapsus nel lapsus? Un inconscio desiderio di recupero anche di quel capolavoro di Sironi devastato dai censori? Comprensibile. Questo ‘recupero’ ha infatti una propria storia controversa, e prossime possibili proiezioni polemiche.
Nel 1985, 50° anniversario dell’inaugurazione della nuova sede della Sapienza, già Simonetta Lux ed Ester Coen denunciarono «l’inautenticità dello stato dell’immagine» del murale di Sironi dovuta ai danni inferti dalla violenza censoria «sotto la nostra appena nata democrazia». Nel ’94, in occasione di un importante seminario di studi proprio nell’Aula Magna, in collaborazione con l’Istituto centrale del restauro, venne rilevato che le parti censurate non erano state abrase ma coperte. In questa occasione Silvia Danesi Squarzina, grazie al recupero della documentazione fotografica dell’originale, ha consentito la collazione precisa tra come il murale era e come è ancora oggi dopo le censure; giudizio inequivocabile: manomissione. Dopo dieci anni, reperita nuova documentazione, il giudizio dato da altri studiosi, se possibile, si aggravò.
Il ‘caso Sironi’ quindi pone oggi all’Università di Roma, che ha deciso di restaurare il murale, problemi che travalicano quelli tecnici: conservare le censure legittimandone quindi l’uso politico? Magari verranno opposti opportuni problemi tecnici al recupero dell’originale. Allora, attenzione: giuridicamente è consentita la manomissione di un’opera e conservarla altresì all’autografia dell’autore che non ha mai autorizzato l’intervento? È in gioco il principio del rispetto della libertà d’espressione. La conclusione dei lavori di restauro è prevista per l’autunno del 2016. Se ne riparlerà (all’insegna, tecnica e non solo, della trasparenza).
Paolo Simoncelli (da “Avvenire”)
(admaioramedia.it)
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