Le feste sono agli sgoccioli, così come le riserve alimentari del mio frigo, quindi per evitare di mangiare scatolette, mi sono tuffata in quella bolgia che è il reparto alimentare di un grande supermercato del nord Sardegna. Tra casalinghe impazzite e pensionati frustrati, che a colpi di selfie, s’immortalavano davanti alle noci etichettate una per una, per evitare l’acquisto della busta biodegradabile da 0,2 centesimi, e non riuscendo a pagare le lenticchie singolarmente (solo per le dimensioni ridotte di quest’ultime), ho meditato vendetta contro il sistema, decidendo di vendere cara la pelle.
Per fortuna in mio soccorso è arrivata la notizia che a Giave, piccolo centro del Sassarese, qualcun’altra la pensava come me. Quindi, armata di piglio alla Breaveheart, sono partita per la riscossa, dove cioè la parola accise è equiparata alla cacca e la parola tassa sulla benzina è bandita da tutto il territorio comunale. Giave, luogo di confine tra ciò che desideriamo e ciò che possiamo, è in questi giorni al centro delle cronache isolane, annoverando un Sindaco in gonnella che riesce a far fermare i treni in stazione e dichiara guerra al fisco. Ma la realtà è un’altra.
Sebbene gli amministratori del Meilogu abbiano acceso un faro su una sentenza della Corte costituzionale del luglio 2017 in merito all’istituzione della Zona franca in Sardegna, non credo abbiano reso un buon servizio alla causa. Per questa occorre condivisione, programmazione e concertazione, le boutade post festive non sono comprese nel protocollo d’accesso, scadono subito come i fagioli sulla tombola della Befana. Allora torno con la mia macchina verso il supermercato, delusa e avvilita, lasciando i sogni sul cruscotto e con in mano i o,2 centesimi per la busta biodegradabile delle arance. È stato bello sognare una Sardegna senza accise… alla prossima.
Biancamaria Balata
(admaioramedia.it)