Esiste il problema della fuga dei medici italiani verso lidi più sicuri e onorevoli dell’Italia, allettati, o forse adescati, da lusinghe e promesse provenienti da paesi europei ed extraeuropei. Queste seduzioni hanno solleticato i nostri medici non solo in termini economici, ma per un reale riconoscimento delle loro notevoli capacità professionali.
Mentre tutto il mondo circostante acclama le nostre capacità, frutto di notevoli costi umani ed economici per tutta la comunità (nel 2014, fonte “Il Sole 24ore Sanità”, i costi statali per la formazione dei giovani medici, ammontava a 1.5 miliardi di euro e quelli personali, tra laurea e specializzazione, a 150mila euro a famiglia), la nostra nazione relega i nostri sanitari in una crescente sacca di precariato e sottoccupazione. Non solo, la modifica del Titolo V della Costituzione del 2001, che delegava a Regioni e Province autonome la gestione dei servizi sanitari, ben lungi dal creare un federalismo solidale, ha generato una deriva regionalistica creando ben ventuno differenti Sistemi sanitari regionali nei quali è sempre più marcata una sanità di serie A, ricca e pregna di opportunità per medici e pazienti, e una sanità di serie B e C, in cui non si riescono a garantire le pur minime prestazioni sanitarie e sociali. Facile, pertanto, immaginare che questa diversità prenda sempre più i connotati geopolitici tra il Nord e il Sud Italia. Un Settentrione più ricco e con alto tasso di industrializzazione e maggiore disponibilità economica, che potrà erogare prestazioni sanitarie di alto livello, ed un Meridione impoverito da deficit storici, produttivi ed organizzativi, che potrà permettersi servizi sempre meno performanti, che saranno la causa principale di un ritorno ai viaggi della speranza dei nostri pazienti verso il Nord.
A poco valgono poi le eccellenze in campo sanitario del Meridione, come ad esempio la Clinica Orl dell’Università di Cagliari con una occupazionalità prossima al 90%, diretta da una eccellenza internazionale, il professor Roberto Puxeddu, se poi dal punto di vista organizzativo le si penalizza con un’inspiegabile quanto dannosa riduzione dei posti letto. Di esempi tali, purtroppo la Sardegna ne è piena. Oltre alla fuga dei sanitari verso sedi europee ed extraeuropee, anche a seguito di più favorevoli condizioni contrattuali ed economiche, potremo assistere ad un impoverimento delle risorse sanitarie di un Meridione perdente, che costringerà i nostri malati ad emigrare al Nord, insieme ai loro medici, verso una sanità più equa, più solidale, ma soprattutto più dignitosa.
Fabio Barbarossa
(sardegna.admaioramedia.it)