Molto rumore per nulla, direbbe qualcuno. In fondo, il corso del Comune di Tula prevede appena cinque posti in un corso per ‘assistenti familiari maschili’.
Cinque posti su dieci, quindi la metà dei posti disponibili, che in un momento di estrema crisi economica (disoccupazione giovanile in Sardegna ben oltre il 55%) sembrerebbero troppi. Ciò nonostante, un’amministrazione pubblica ha la brillante idea di formare al lavoro cinque giovani (tra i 18 ed i 30 anni) extracomunitari, in numero pari ai suoi amministrati. Non solo. Infatti, non si tratta di immigrati integrati o che hanno già ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato, bensì di semplici “richiedenti protezione asilo politico”. Considerando l’elevata percentuale di domande respinte (ben oltre il 60%, grazie alla protezione umanitaria inventata dallo Stato italiano, altrimenti sarebbero respinte oltre l’80%) non viene difficile immaginare che qualcuno tra i cinque corsisti, prima o poi, verrà espulso dal territorio nazionale, rendendo vana la formazione ottenuta, almeno in Sardegna.
Il corso è organizzato in collaborazione con una cooperativa ben collaudata nel settore dell’accoglienza agli immigrati, la Sdp di Sassari che gestisce alcuni centri, tra i quali il famigerato Pime di via Solari: i suoi ospiti sono stati protagonisti di una rissa coi ragazzi del quartiere nello scorso mese di ottobre e nei giorni scorsi di una protesta davanti alla Prefettura di Sassari per lamentarsi delle condizioni di trattamento al centro. Le 135 ore (35 di teoria e 100 di tirocinio nella casa alloggio di Tula) costano 500 euro e l’Amministrazione comunale tulese ha deciso di favorire i giovani del paese finanziando il 50% della cifra, mentre il bando non chiarisce, una volta chiusi entrambi gli occhi sul titolo di studio indicato (“licenza di scuola media inferiore o equipollente, rilasciato da istituzione scolastica italiana o straniera”), chi pagherà il corso per i richiedenti asilo, considerando che con il ‘pocket money’ (2.50 euro al giorno) occorrerebbero quasi 7 mesi di risparmio per pagarselo.
Non è comunque la prima volta che i richiedenti asilo vengono compresi, quindi ben prima del riconoscimento della loro domanda di ‘protezione’, tra i beneficiari di progetti finanziati coi soldi pubblici (europei, nazionali o regionali che siano): per esempio il progetto europeo I’Mappy, oppure il bando regionale Diamante Impresa, finanziato con 2 milioni di euro per creare immigrati-imprenditori.
Repetita iuvant: si pronuncia ‘immigrazione’ ma si intende ‘business’, non solo per chi, imprenditore dal ‘cuore d’oro’, ma sopratutto dal ‘portafoglio gonfio’, si è ‘votato’ all’accoglienza, ma anche per una rete vorace di associazioni che intorno al fenomeno sguazza da anni a proprio agio e continua a produrre reddito ed occupazione, mentre i ‘veri’ disoccupati sardi non intravedono la famigerata luce in fondo al tunnel, almeno finché non sarà completata l’integrazione delle migliaia di immigrati che la Sardegna ha ancora in carico. Proprio il ‘caso Tula’ appare come una specie di progetto-pilota per sperimentare una nuova strada, una nuova via di integrazione a qualsiasi ‘costo’, saggiando anche le reazioni dei cittadini sardi che vedono i propri figli a casa senza prospettive o costretti ad abbandonare l’Isola per cercare fortuna: finora non sono sembrate troppo benevole.
Arsenico
(admaioramedia.it)